Basato su un articolo scritto da Dario Marchini (Runner’s World Italia), Foto di Pierluigi Benini

“Napule è mille culure, Napule è mille paure… Napule è nu sole amaro, Napule è addore e’ mare”. Napoli è il grigio opaco dei palazzi accalcati uno sull’altro, il giallo caldo del sole che sembra svegliare la città, l’immenso blu del mare che accarezza il Vesuvio esaltandone l’inimitabile bellezza.

Napoli è la città delle mille sfumature. Strade larghe e luminose che si alternano improvvisamente ad angusti vicoli bui, accompagnati dalle urla dei venditori ambulanti che la trasformano anche nella città dalle mille paure. Ma solo per chi non la conosce. Napoli è una carica di emozioni, di contraddizioni. Napoli è il profumo della salsedine sospinta dal vento che tra i vicoli del centro si mischia a quello di babà, sfogliatelle, zeppole e pizza fritta. Napoli è l’immensità di palazzi che si inerpicano sulle sue colline a scrutare il mare. La desolante solitudine di vecchi portoni di chiese stretti nell’ombra di due ali di balconi e panni stesi. Napoli è il calore contagiante della sua gente che ti fa sentire a casa. Lo sfrecciare incessante di motorini che ti sfiorano le braccia, di occhi che ti seguono, che ti studiano lontani. Napoli è il saluto amico di un estraneo, un caffè offerto a cui non puoi dire no.

Napoli è corsa, un assaggio veloce, profondo, diverso della sua anima. La mia prima volta. Ma è come se ci fossi sempre stato. È stato sufficiente calarsi tra le sue braccia, conoscere il suo calore e provare a capire le sue abitudini per imparare ad amarla. Passare controvento sul lungomare di Mergellina, stretto tra i colori dei palazzi che si affacciano sul golfo, spingendosi fino a Castel dell’Ovo. Immergersi dopo l’alba tra i frenetici vicoli di Spaccanapoli e dei Quartieri Spagnoli mentre la città si sveglia ancora intorpidita dal freddo della notte. Gustarsi la sua arte tra i presepi di San Gregorio Armeno e monumenti nascosti ad ogni angolo. Risalire i viali che si arrampicano sui colli per godersi la vista del Vesuvio e ridiscendere a dirotto verso Piazza del Plebiscito, passando dal Maschio Angoino e Palazzo Reale. “Napule è na’ camminata inte viche miezo all’ato… Napule è tutto nu suonno e a sape tutto o’ munno”.

Maschio Angioino

Maestoso. Imponente Primo baluardo della sirena Parthenope per chi approda sulle sue coste. È così che si presenta Castel Nuovo. Conosciuto con il nome di Maschio Angioino, per distinguerlo da Castello di Capuana e da Castel dell’Ovo, è stato costruito durante il regno degli Angioini e domina tutta la visuale della baia di Napoli. Il castello è un’imponente fortezza con cinque torri, ad ognuna delle quali è assegnato un nome: Torre di Mezzo, Torre di Guardia, Torre di San Giorgio, Torre di Beverello, Torre dell’Oro. Segno distintivo è l’Arco Trionfale che collega le prime due, realizzato in marmo con ricche decorazioni, rilievi e sculture. Tutt’oggi Castel Nuovo partecipa alla vita della moderna Napoli essendo teatro, soprattutto nel suo cortile, di eventi e spettacoli culturali, oltre ad essere sede permanente del Museo Civico, con un percorso di visita che si inoltra in molte delle sue sale. Al secondo e terzo livello della fortezza è anche custodito l’enorme tesoro bibliotecario della Società napoletana di Storia Patria, nata nel 1875.

Galleria Umberto I

Galleria Umberto I è la galleria più famosa di Napoli. Una galleria commerciale costruita tra il 1887 e il 1890 (gli stessi in cui è sta costruita la Tour Eiffel) composta da imponenti archi d’entrata e due strade di elegantissimo pavimento a intarsi marmorei che si incrociano ortogonalmente al di sotto della cupola. Un capolavoro di sontuosità in stile liberty che colpisce ancora oggi per maestosità, eleganza e complessità della struttura.

La Galleria Umberto I è stata per 50 anni il regno degli sciuscià, i lustrascarpe resi famosi dal film di Vittorio De Sica. Nel dopoguerra napoletano gli Sciuscià hanno avuto la loro sede prima nel bosco di Capodimonte, poi nella Galleria Umberto I. Le sedie per i clienti erano dei veri e propri tronetti di velluto scarlatto alti un metro e mezzo. Farsi lustrare le scarpe in Galleria era un rito, faceva parte delle abitudini di gentiluomini, di borghesi e di chiunque amasse sfilare “luccicando”. Strangolati dagli affitti impossibili e da una tradizione che è andata morendo, gli ultimi due sciuscià hanno chiuso la loro attività qualche anno fa.

Piazza del Plebiscito

Piazza del Plebiscito è il luogo simbolo di Napoli. Il suo nome deriva dal plebiscito popolare con cui Napoli e il Regno delle Due Sicilie vennero uniti, nel 1860, al Piemonte dei Savoia e al resto dell’Italia. Un tempo luogo di cerimonie militari, oggi è il palcoscenico su cui si tengono importanti eventi e manifestazioni artistiche. E in cui sfila anche la Napoli City Half Marathon. La piazza è delimitata da monumenti architettonici di grande bellezza, tra cui il colonnato in stile neoclassico della chiesa di San Francesco di Paola e il Palazzo Reale.

Tra turisti e cittadini è tradizione il gioco di provare ad attraversare a occhi chiusi la piazza (170 metri in linea retta), ma praticamente nessuno è mai riuscito nell’impresa. In origine, infatti, la piazza aveva una forma irregolare e ancora oggi una leggera pendenza della superficie impedisce, a chi decide di attraversarla, di proseguire dritto. Secondo la leggenda, la regina Margherita (si, quella della pizza) concedeva la salvezza ai prigionieri del Regno qualora avessero superato questa prova difficilissima, ma non ci riuscì mai nessuno a causa di una maledizione lanciata dalla stessa sovrana, che ancora oggi non permette di farcela.

Castel dell’Ovo

Castel dell’Ovo spicca maestoso sull’antico Isolotto di Megaride, il primo approdo dei Greci che conquistarono il golfo di Napoli e fondarono nel 474 a.c. Neapolis (la “città nuova”). Numerosi miti e leggende raccontano dell’isola e del suo castello. Una delle più bizzarre attribuisce il nome all’uovo che Virgilio avrebbe tenuto nascosto in una gabbia posta nei suoi sotterranei. L’uovo fu difeso con pesanti serrature e mantenuto segreto perché proprio da quello dipendeva la buona sorte del Castello.

Altre storie sono invece legate al culto della sirena Partenope. Il primo che ne parlò fu Omero nell’Odissea. Il mito secondo cui Ulisse, legato ad un palo della nave, riuscì a resistere all’ammaliante canto delle sirene che lo volevano incantare. A causa dell’umiliazione tutte le sirene si lanciarono da una rupe uccidendosi e il corpo di Partenope giunse sino all’isolotto di Megaride, dando così il suo nome alla vicina città.

Via Pignasecca e Quartieri Spagnoli

La Pignasecca è un caratteristico rione dei Quartieri Spagnoli in cui si respira ancora l’antico sapore del mercato di una volta. Una strada lunga poco meno di un chilometro dove si può trovare ogni tipologia di bottega, dagli acquafrescai ai pescivendoli urlanti. Prima di tramutarsi nel grande mercato all’aperto di oggi, il rione era occupato da complessi religiosi, da palazzi nobiliari e da un’immensa tenuta nobiliare, detta “Biancomangiare”, che cambiò nome per colpa di una gazza dispettosa. Infatti, la leggenda vuole che in questo luogo vi fosse anche una grandissima pineta popolata da numerose gazze, che furono scomunicate dal vescovo, scoperto da una di loro a letto con la perpetua. Dopo tre giorni, la pineta morì, i pini seccarono, le gazze sparirono, lasciando solo una distesa di terra arida e vuota. La Pignasecca.

Spaccanapoli

Il cuore pulsante della napoletanità. La strada che taglia in due il centro storico di Napoli, segnando una linea retta che va dai Quartieri Spagnoli alla Forcella. Vista dall’alto, da San Martino, al Vomero, colpisce la combinazione di colori che la caratterizza e fa di Napoli una delle città più colorate d’Europa. Ha origini antichissime. È infatti uno dei tre decumani (quello più vicino al mare) in cui i romani, basandosi sulla costruzione greca, organizzarono l’urbe.

Un giro per Spaccanapoli è un percorso (a ostacoli) lungo la millenaria storia della città. Spaccanapoli racchiude tutta l’essenza di Napoli. Dalle splendide botteghe di artigiani, ai monumenti nascosti che ne narrano l’evoluzione, dai pescivendoli che urlano incessantemente, al caos di persone e motorini che sfrecciano incuranti del codice stradale, dalla statua in bronzo di Pulcinella all’altare dedicato a Maradona.

MM Toledo

È l’opera più recente di tutta la città partenopea, divenuta vera e propria meta turistica per chiunque passi per Napoli. Parliamo della stazione Toledo della Linea 1 della Metropolitana, progettata dall’architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, inaugurata nel 2012 e definita dai maggiori quotidiani di tutto il mondo come “la più bella d’Europa”. Una spettacolare scenografia, sviluppata nei toni del blu (mare), del nero (terra) e dell’ocra (tufo), con riferimenti ai miti mediterranei, al Vesuvio e all’iconografia napoletana, straordinari mosaici dedicati a San Gennaro, un corridoio marino e il suggestivo Crater de Luz, un gigantesco cono da cui si gode una vista senza pari della città.

Cattedrale di San Gennaro

Il Duomo di Napoli o Cattedrale di Santa Maria Assunta è la principale chiesa della città. Sotto l’altare maggiore, all’interno della cripta, ancora oggi sono custodite le ossa di San Gennaro insieme alle due famose ampolle contenenti il sangue del Santo. Tre volte l’anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre – giorno della ricorrenza di San Gennaro – e il 16 dicembre) si celebra il rito della liquefazione, che prevede il ripetersi del cosiddetto “miracolo di San Gennaro”, in cui l’arcivescovo di Napoli mostra ai fedeli il sangue solidificato contenuto nelle ampolle ritornare “miracolosamente” allo stato liquido. Un fenomeno considerato una vera e propria sventura nel caso in cui non accada. Molti ricordano che nel 1980, prima del terribile terremoto, il sangue di San Gennaro, infatti, non si sciolse…

San Gregorio Armeno

È conosciuta come la via dei presepi, famosa in tutto il mondo per le innumerevoli botteghe artigiane dedicate all’arte presepiale. Il quartirere e i piccoli negozi possono essere sempre visitate durante tutto l’anno osservando gli artigiani al lavoro delle loro creazioni. La caratteristica principale del presepe napoletano è quella di essere un perfetto connubio tra il sacro e il profano, dato che non solo presenta le classiche statue della Sacra Famiglia in diverse dimensioni, fatture e forme, ma anche la rappresentazione caricaturale di personaggi famosi sia del presente che del passato. Ed è proprio nella creazione di queste statuette che si ritrova tutta l’ironia e la fantasia degli artigiani napoletani.

Vesuvio

È uno dei principali simboli di Napoli, noto nella storia per l’eruzione che nel 79 d.C. che distrusse la città di Pompei insieme a Ercolano, Stabia e Oplontis. Tra le numerose leggende che lo riguardano, ce n’è una appartenente all’eruzione del 1958, quella della Strega del Vesuvio. Dopo l’eruzione gli abitanti dei paesi vesuviani iniziarono ad udire ogni notte urla strazianti di donna, senza riuscire a capire da dove arrivassero nonostante diverse spedizioni. Così si rivolsero ad una leggendaria fattucchiera, a Vecchia ‘e Mattavona, che viveva non molto lontano dai loro casolari. La donna lanciò diversi incantesimi, debellando così il fenomeno paranormale. Proprio da questa storia il disegnatore americano Carl Barks diede vita ad Amelia, celebre personaggio Disney delle avventure di Zio Paperone.

Il vero Bar del Professore

Tappa obbligatoria per tutti gli amanti del vero espresso napoletano, questo locale storico si trova in Piazza Trieste e Trento, a soli pochi metri dalla più nota Piazza del Plebiscito. Nato nel 1996 con un bagaglio di oltre quarant’anni di esperienza nel settore, tramandata di padre in figlio, propone oltre al classico e cremoso Espresso del Professore, caffè in ben altre 63 versioni. Particolarmente apprezzato è il Caffè alla Nocciola, una vera e propria specialità, frutto dell’inventiva del noto proprietario Raffaele Ferrieri e dei suoi figli, così come lo sono il Caffè del Nonno, il Kinder Coffee o il Caffè Cialdino.

Articolo di Dario Marchini (Runner’s World Italia), Fotografie di Pierluigi Benini

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